Se è vero che, successivamente all’adozione del d.m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo alcun vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati, ciò non toglie, tuttavia, che il giudice è chiamato a quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi, affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo. (Nella fattispecie in esame, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione impugnata, ritenendo del tutto apparente la motivazione con la quale erano stati liquidati, a titolo di compenso per il difensore della parte vincitrice in appello, importi grandemente superiori agli importi massimi previsti dal d.m. n. 147 del 2022 per le cause di valore pari ad € 1.000,00, anche considerando l’aumento per la difesa prestata a due parti, mediante un semplice richiamo ai «parametri minimi di riferimento», senza però l’indicazione di quali siano stati tali parametri, né le ragioni della scelta di uno scaglione diverso da quello risultante dalla dichiarazione di valore delle parti). È quanto si legge nella sentenza del 4 aprile 2024, n. 8884 della Cassazione.
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