Di seguito l’articolo della Prof.ssa Marandola, pubblicato su Diritto Penale e Processo, n. 5/2022, Ipsoa, Milano.
L’improvvisa emergenza sanitaria causata dal Covid-19 e, poi, dalle sue varianti, ha imposto, per le caratteristiche del virus, l’adozione immediata di alcune misure di salvaguardia anche all’interno delle strutture dedite all’amministrazione della giustizia penale. Dopo un primo periodo di “fermo”, è succeduta una serie di provvedimenti che, per tutelare la salute, hanno sovvertito le forme e le modalità di conduzione del rito penale. Ebbene, una tale modalità di conduzione dei processi – giustificata dall’emergenza sanitaria – sarebbe dovuta cessare il 31 marzo 2022, con la fine dello stato d’emergenza, appunto. Preso atto, invece, della celerità e snellezza nell’amministrazione della giustizia che le straordinarie metodologie realizzano e della necessaria riduzione drastica delle pendenze processuali per poter beneficiare dei finanziamenti europei, il Governo, prima, e il Parlamento, poi, hanno avallato il mantenimento di tale peculiare normativa. L’opzione non appare giustificabile: con la cessazione dello stato d’emergenza avrebbe dovuto trovare nuovamente vigore la disciplina codicistica, anche per le parti a cui finora si era derogato. La scelta – operata per consentire una certa “continuità” con il regime di prossima approvazione e contenuto nella L. delega n. 134 del 2021 con cui dovrebbe prendere forma la c.d. Riforma Cartabia – non appare sistematicamente e istituzionalmente del tutto conforme al regime che, ad emergenza conclusa, così come accade per le altre ordinarie attività, avrebbe dovuto applicarsi.
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